Franco Picini - Poesie

Primavera

 

Ho sognato una stagione lontana

con chiare fontane ad irrigare mattini

e passeri danzanti 

sul ciglio dell’aurora.

 

Una stagione remota

che depone ghirlande d’alghe 

e conchiglie sulle battigie. 

 

Ho sognato un mondo sereno

senza guerre né fame né malattie

mai sfiorato da animi inquieti

 

quando mi avvolge un vento sconosciuto

ed io, come farfalla ardita

sogno la stagione che non ho mai vissuto

nell’armonia umana.

 

Mi sveglio di soprassalto

e sento che fuori piove…

piove! O meglio, diluvia.

L’inverno è lì… mi attende

nella paura del futuro.


 

Alpeggio

 

È in questo verde d’erba

Disteso, sotto  l’azzurro

in una fuga d’onde

che l’animo deluso trova

tra terra e cielo

riposo dagli assilli.

La differenza è nella luce

un mare d’aria attorno

l’opaco dentro.

Son io che stono qui

dove lo spazio chiudo

in una vita ostile

mentre la terra accoglie.

Come l’angoscia, sento d’oppormi

al soffio vergine del vento

al ritmo misurato della pioggia

di questo altro divenire

di nuvole chiare di strie d’uccelli

volteggi di farfalle e armonie di grilli

tra rossi papaveri …in fiamme.

Chi sono io tra tanta libertà di spazio?

Cosa di me è parte della fitta trama?

E il segno dei miei giorni dove rimane?

Forse sarò, domani, polvere nel vento

memoria d’ossa, celate dalla terra

ora son solo cuore e occhi

per vivere e ammirare.


 

Amore greco

 

Calore d’argento nella notte d’estate

palpitano faville nel prato

altre, lontane, diradano il buio.

 

Antiche fragranze d’Arcadia 

nel verde soffio di brezza

che appare un effluvio di stelle

mi specchio, stupito, nel chiaro

colore degli occhi che scruto.

 

Il cuore si scioglie mercé di se stesso

ammaliato si perde nel gioco 

di sguardi incrociati, di teneri abbracci

di corpi in vesti leggere, di mani tra mani

di pelle scurita, di labbra salate.

 

Frinisce intrigante la bella stagione,

il cipresso, l’olivo, la zolla di terra voltata.

Il tempo è sospeso, incantato

ha udito il sussurro insistente

promettere amore per sempre.

 

È oracolo ora, predice e non dice

tramanda alla nebbia d’autunno il fardello:

amore votato a durare

o lampo nel cielo d’estate?

 

Segreto racchiuso nel cuore del tempo 

ma un refolo intenso ne vuole sfuggire

è simile al dolce profumo dell’ouzo

che piega la mente a un fugace piacere 

e tiene i pensieri, quel tanto che basta, lontani.


 

Domande di novembre

 

Che farò ora? Quale tiepido sole mi scalderà?

Se il tempo ha consumato i volti

e i morti affrancano maschere

nel breve spazio della luce

e nelle lunghe notti insonni.

 

Che farò ora? Quale sarà la via?

Tra le radici care, per sempre inabissate

nell’humus sacro dei camposanti.

 

Che farò ora? Come consolerò il cuore?

Se il vigore dei germogli

cede all’afrore delle zolle 

e vedo il mondo, fragile

svanire all’orizzonte.

 

Forse resterò a guardare

come un ramo spoglio

questo morire di foglie, in novembre.

 

Forse, nell’aria evanescente

di questo mese schivo, che pone nuvole 

sui campi e smussa i sassi con il muschio,

riscoprirò la vita, quella assennata

accesa, dal fuoco dei ricordi

…che mi camminano dentro.


 

Il dubbio della margherita

 

Eccomi qui d’innanzi al mare
rapito dal nitrito d’uragano
nel gelido iemale mattutino
acqua che sale sulle onde
cuore sospinto dal vento.

Porta il fragore di risacca,
sul rombo sordo della ghiaia,
verdi ghirlande d’alghe
strappate agli abissi,
sogni tornati sul cuscino.

Nel caos che inghiotte il tuono
un risuonare d’echi di richiamo
ricordi, come gridi di gabbiani
oltre le nubi di piombo, grevi
simili a vecchi dolori, per sempre vivi.

Già la tempesta rischiara all’orizzonte,
non tutto è qui, in quello che conosco
altro mi porta questa nuova luce.
Vorrei salvare ciò che mi rimane
lasciare andare quello che vedo alla deriva.

Disegno sulla sabbia un’altra vita,
solo un accenno, prima che monti l’onda
la sfoglio come una margherita:
la voglio o non la voglio?
il resto è mare indifferente.


 

Il tacere dell’ombra

 

Mi dici, con voce morbida di donna
legando le parole ai chiari sguardi,
di un’esistenza naufragata nell’indifferenza.

Mi parli, di tua madre e di tuo padre
dei loro cuori prigionieri nell’inverno,
degli uomini che hai amato
svaniti, al primo refolo del vento.

Mi dici, di un amore preso per marito
che mai lo è stato, per sua ostinata inconsistenza.
Mi parli, delle dure giornate da ragazza madre
delle aspre scelte, delle ore di veglia
che eco in altri cuori non hanno mai trovato
e un solco di sfiducia hanno scavato.

Non per i soldi, che mai sono bastati,
tu ti lamenti, non per aver sognato
un vivere agiato, che non hai cercato,
ma per trovare approdo a un desiderio ardente
ad un bisogno d’amore, sprecato
sulla distesa anonima del tempo.

Ascolto quel che dici tenendomi al tuo fianco
legando i miei pensieri muti ai passi lenti
forse adesso potrò dirti di me, la parola chiave
che svela i nascosti sentimenti, forse oggi
ti parlerò di quello che provo per te, da un po’ di tempo
forse troverò il coraggio o resterò in silenzio,
ombra anch’io tra le tue ombre, priva di consistenza.


 

Mio Padre

 

Mio padre ha novantaquattro anni

e mi sussurra chiedendomi l’orecchio

con voce falba di nicotina: “per me,

non darti pena, ho già vissuto

ed ora sono pronto”.

Ma gli occhi tradiscono il contrario

anzi, muti lo gridano.

 

Vorrebbero specchiarsi altrove

fuori dal corpo inaridito

- occhi incapaci d’invecchiare -

e andare oltre i muri 

di questa stanza priva di futuro

ultimo luogo della vita.

 

In quel ragazzo ossuto del passato

vorrebbero tornare in mezzo ai campi

quelli da sempre amati

lì dove c’era solo qualche casa

stretta tra i monti 

sotto i cieli cangianti.

 

Vorrebbero sentire ancora

carezze d’aria, il sole sulla pelle

anche la pioggia fredda

lungo quell’onda d’erba

mossa, per te, dal vento.

 

Vorrebbero seguire voli d’uccelli

guizzi di trote d’argento

sere d’inverno e nuove primavere

nel desiderio mai appagato

per questa nostra vita

che arde sempre dentro.

 

Eppure, non vedo nulla d’avvizzito

nell’ombra della stanza

non sento l’agonia della speranza

in ciò che ti circonda

non vedo annichilire il nostro momento

nella congiura del vuoto e del silenzio

non vedo lacrime solcare inutilmente

ciò che ha già scavato il tempo.

 

Vedo, commosso, riaccendersi la fiamma

di un antico fuoco greco

che avvampa alla scintilla d’un ricordo

basta un ricordo, a caso sussurrato

che si ravviva un rischiarare d’occhi

che mai potrò pensare spenti.


Basta una Valle

 

Bastava poco allora

vagando lungo i campi aperti

per essere felice fino in fondo.

 

Mondo benigno scolpito nel cristallo

tra il fiume a mormorare tra le foglie

e il luminoso sguardo di mia Madre,

intorno l’inviolabile corona di montagne.

 

…e i piedi ciondoloni dalla sedia

…e la maniglia appesa appena sulle punte 

poi, oltre la porta, il poco che bastava

lo stesso in casa.

 

Ecco mio Padre portato dalla sera

tra un sorso del suo rosso 

e l’acre odore del tabacco

aprire altri orizzonti, con le parole. 

 

Lui che poteva, per aver visto il Mondo,

oltre la Valle, a me lo raccontava

e io di meraviglia ardevo.

 

Bastava poco!