Primavera
Ho sognato una stagione lontana
con chiare fontane ad irrigare mattini
e passeri danzanti
sul ciglio dell’aurora.
Una stagione remota
che depone ghirlande d’alghe
e conchiglie sulle battigie.
Ho sognato un mondo sereno
senza guerre né fame né malattie
mai sfiorato da animi inquieti
quando mi avvolge un vento sconosciuto
ed io, come farfalla ardita
sogno la stagione che non ho mai vissuto
nell’armonia umana.
Mi sveglio di soprassalto
e sento che fuori piove…
piove! O meglio, diluvia.
L’inverno è lì… mi attende
nella paura del futuro.
Alpeggio
È in questo verde d’erba
Disteso, sotto l’azzurro
in una fuga d’onde
che l’animo deluso trova
tra terra e cielo
riposo dagli assilli.
La differenza è nella luce
un mare d’aria attorno
l’opaco dentro.
Son io che stono qui
dove lo spazio chiudo
in una vita ostile
mentre la terra accoglie.
Come l’angoscia, sento d’oppormi
al soffio vergine del vento
al ritmo misurato della pioggia
di questo altro divenire
di nuvole chiare di strie d’uccelli
volteggi di farfalle e armonie di grilli
tra rossi papaveri …in fiamme.
Chi sono io tra tanta libertà di spazio?
Cosa di me è parte della fitta trama?
E il segno dei miei giorni dove rimane?
Forse sarò, domani, polvere nel vento
memoria d’ossa, celate dalla terra
ora son solo cuore e occhi
per vivere e ammirare.
Amore greco
Calore d’argento nella notte d’estate
palpitano faville nel prato
altre, lontane, diradano il buio.
Antiche fragranze d’Arcadia
nel verde soffio di brezza
che appare un effluvio di stelle
mi specchio, stupito, nel chiaro
colore degli occhi che scruto.
Il cuore si scioglie mercé di se stesso
ammaliato si perde nel gioco
di sguardi incrociati, di teneri abbracci
di corpi in vesti leggere, di mani tra mani
di pelle scurita, di labbra salate.
Frinisce intrigante la bella stagione,
il cipresso, l’olivo, la zolla di terra voltata.
Il tempo è sospeso, incantato
ha udito il sussurro insistente
promettere amore per sempre.
È oracolo ora, predice e non dice
tramanda alla nebbia d’autunno il fardello:
amore votato a durare
o lampo nel cielo d’estate?
Segreto racchiuso nel cuore del tempo
ma un refolo intenso ne vuole sfuggire
è simile al dolce profumo dell’ouzo
che piega la mente a un fugace piacere
e tiene i pensieri, quel tanto che basta, lontani.
Domande di novembre
Che farò ora? Quale tiepido sole mi scalderà?
Se il tempo ha consumato i volti
e i morti affrancano maschere
nel breve spazio della luce
e nelle lunghe notti insonni.
Che farò ora? Quale sarà la via?
Tra le radici care, per sempre inabissate
nell’humus sacro dei camposanti.
Che farò ora? Come consolerò il cuore?
Se il vigore dei germogli
cede all’afrore delle zolle
e vedo il mondo, fragile
svanire all’orizzonte.
Forse resterò a guardare
come un ramo spoglio
questo morire di foglie, in novembre.
Forse, nell’aria evanescente
di questo mese schivo, che pone nuvole
sui campi e smussa i sassi con il muschio,
riscoprirò la vita, quella assennata
accesa, dal fuoco dei ricordi
…che mi camminano dentro.
Il dubbio della margherita
Eccomi qui d’innanzi al mare
rapito dal nitrito d’uragano
nel gelido iemale mattutino
acqua che sale sulle onde
cuore sospinto dal vento.
Porta il fragore di risacca,
sul rombo sordo della ghiaia,
verdi ghirlande d’alghe
strappate agli abissi,
sogni tornati sul cuscino.
Nel caos che inghiotte il tuono
un risuonare d’echi di richiamo
ricordi, come gridi di gabbiani
oltre le nubi di piombo, grevi
simili a vecchi dolori, per sempre vivi.
Già la tempesta rischiara all’orizzonte,
non tutto è qui, in quello che conosco
altro mi porta questa nuova luce.
Vorrei salvare ciò che mi rimane
lasciare andare quello che vedo alla deriva.
Disegno sulla sabbia un’altra vita,
solo un accenno, prima che monti l’onda
la sfoglio come una margherita:
la voglio o non la voglio?
il resto è mare indifferente.
Il tacere dell’ombra
Mi dici, con voce morbida di donna
legando le parole ai chiari sguardi,
di un’esistenza naufragata nell’indifferenza.
Mi parli, di tua madre e di tuo padre
dei loro cuori prigionieri nell’inverno,
degli uomini che hai amato
svaniti, al primo refolo del vento.
Mi dici, di un amore preso per marito
che mai lo è stato, per sua ostinata inconsistenza.
Mi parli, delle dure giornate da ragazza madre
delle aspre scelte, delle ore di veglia
che eco in altri cuori non hanno mai trovato
e un solco di sfiducia hanno scavato.
Non per i soldi, che mai sono bastati,
tu ti lamenti, non per aver sognato
un vivere agiato, che non hai cercato,
ma per trovare approdo a un desiderio ardente
ad un bisogno d’amore, sprecato
sulla distesa anonima del tempo.
Ascolto quel che dici tenendomi al tuo fianco
legando i miei pensieri muti ai passi lenti
forse adesso potrò dirti di me, la parola chiave
che svela i nascosti sentimenti, forse oggi
ti parlerò di quello che provo per te, da un po’ di tempo
forse troverò il coraggio o resterò in silenzio,
ombra anch’io tra le tue ombre, priva di consistenza.
Mio Padre
Mio padre ha novantaquattro anni
e mi sussurra chiedendomi l’orecchio
con voce falba di nicotina: “per me,
non darti pena, ho già vissuto
ed ora sono pronto”.
Ma gli occhi tradiscono il contrario
anzi, muti lo gridano.
Vorrebbero specchiarsi altrove
fuori dal corpo inaridito
- occhi incapaci d’invecchiare -
e andare oltre i muri
di questa stanza priva di futuro
ultimo luogo della vita.
In quel ragazzo ossuto del passato
vorrebbero tornare in mezzo ai campi
quelli da sempre amati
lì dove c’era solo qualche casa
stretta tra i monti
sotto i cieli cangianti.
Vorrebbero sentire ancora
carezze d’aria, il sole sulla pelle
anche la pioggia fredda
lungo quell’onda d’erba
mossa, per te, dal vento.
Vorrebbero seguire voli d’uccelli
guizzi di trote d’argento
sere d’inverno e nuove primavere
nel desiderio mai appagato
per questa nostra vita
che arde sempre dentro.
Eppure, non vedo nulla d’avvizzito
nell’ombra della stanza
non sento l’agonia della speranza
in ciò che ti circonda
non vedo annichilire il nostro momento
nella congiura del vuoto e del silenzio
non vedo lacrime solcare inutilmente
ciò che ha già scavato il tempo.
Vedo, commosso, riaccendersi la fiamma
di un antico fuoco greco
che avvampa alla scintilla d’un ricordo
basta un ricordo, a caso sussurrato
che si ravviva un rischiarare d’occhi
che mai potrò pensare spenti.
Basta una Valle
Bastava poco allora
vagando lungo i campi aperti
per essere felice fino in fondo.
Mondo benigno scolpito nel cristallo
tra il fiume a mormorare tra le foglie
e il luminoso sguardo di mia Madre,
intorno l’inviolabile corona di montagne.
…e i piedi ciondoloni dalla sedia
…e la maniglia appesa appena sulle punte
poi, oltre la porta, il poco che bastava
lo stesso in casa.
Ecco mio Padre portato dalla sera
tra un sorso del suo rosso
e l’acre odore del tabacco
aprire altri orizzonti, con le parole.
Lui che poteva, per aver visto il Mondo,
oltre la Valle, a me lo raccontava
e io di meraviglia ardevo.
Bastava poco!