Salvo Previti - Poesie

Addio ad Annamaria

 

 

Astrusa avversità, amaro addio,

all’amica, allontanatasi adagio;

assurdamente, all’appello assente,

all’amore, alle attività, all’ambiente.

 

Attualmente abiti astrali ambienti,

appartieni alle aurore albeggianti,

attenta, amorosi afflati ascolti,

astronomiche armonie alimenti.

 

 

Adesso antiche angosce allibiscono;

alati angeli arpeggiando accorrono.

Accompagnata, arriverai all’azzurro aire,

affidando anima all’Altissimo Albore.


Alba amorosa

 

Alzati amore, appare attorno aurora,

alba allagando arcano aire affiora;

allodole armoniosa aria accennano,

abbagliando argentee acque appaiono.

Accarezzami, abbracciami, amato amore,

accogli amorevolmente ansioso ardore,

ascolta accorato afflato appassionato,

accendimi, ardendomi animo accalorato.


Cesare

 

Così cracchiava cassandra cornacchia

clamore cabalàva calamità

Come cigno che conclude cantando

chiudesti ciglia col capo chinato

come ciclamin che cangiando cade

capitolando cambiasti colore.

Cereo copristi, cupo catafalco

cominciando celeste cammino.

Come coniglio che chiede coraggio

consorte confusa chiama compianto;

come cuccioli che cercan calore

chiedono conforto care creature.

Con congruenza colori combinavi

creando cromatici corpi complessi.

Certo colorerai, con cuore, cielo

ciao Cesare, carissimo cognato.


 

 Dieta

 

                             Dovrei diligente dirigermi dal dietologo,

                         della disponibile dura dieta dimagrante,

                         deciso, domandargli drastico decalogo,

                         

 

                         da dannosa disfunzione disgrossante;

                        da domani deh ..dedicarmene dovrò.

                            Dottor Diego Dimagri darà dieta desolante;

 

 

                        drastico decalogo dettato, declinerò.

                        Davvero decider di dimagrire dovrò,

                         dunque da domani dal desinare diserterò.

 

 

                         Diamine! domani devo duramente disdire,

                         dovendo diversi documenti definire,

                         dopodomani di D. Defoe devo disquisire.

 

 

                         Del dopo dopodomani dubito di dover dire…

                         dalla Dalmazia, dotata Daniela discende…

                          dopotutto deciderà destino data da definire….


 


 

Mediterraneo

 

Mediterraneo mitico mio mare,

mordicchi, mite, marino margine,

ma malauguratamente manovri

minacciosi martellanti marosi;

maltrattando malamente miseri,

malcapitati marinai migranti.

Mitighi monegasca miliardaria,

mirabolante mondana marina,

mischiandovi misera ma magica

misteriosissima moresca Mahdia.

Mentre muovi, meraviglioso mare

modellanti metodiche maree,

mostrando molteplici meraviglie,

modulando madreporiche maglie,

magnificandoci mitica Mozia

mirabile madreperlata Maiorca;

molto malridotto, malanni mostri,

mandando maleodorante miasma

maledici malaticcia Marghera.

Mostruosa mucillagine marcisce,

muori man mano malato mare,

mancano, mortalmente maltrattate,

murene, merluzzi, mitili, mante.

Monderemo Mediterraneo mare

malevole menomanti mondezze,

manderemo minuziosi moniti,

marchieremo micidiali misfatti,

meritando magari mestamente

munifica Materna mediazione.


                      Naomi

                                 

 

                                 Nomotti “Naomi” nutrice Natura.

                                 Nova, notturno nimbo, ninfa nera,

                                 notevole  nobildonna non nobil,

                                 natiche notorie, nasino notabil,

                                 non nasconderci nudità negride.

                                 ninfèa nel Nilo nata, neo Nereide;

                                 nubil nettare, nirvana nuziale,

                                 nube nottetempo neontale.

                                 Noa nelle nostre nozioni navighi

                                 Naide nella nostalgia naufraghi.

 


 

Per Peppe Pirrello

 

       

 

                        Partisti per pelagico passaggio,

                        percorrendo prefissato periplo,

                        passasti per paracentriche pieghe

                        proseguendo per punto principale.

                       

 

                        Pregando piano per placare Parche

                        patisti pene ponendoti perché,

                        poi passasti provvidenziale ponte

                        perseguendo primordiale probionte.

 

                       

                        Precocemente perdemmo Pirrello,

                        più poi, presenzierà palco pastello,

                        più peraltro, per proiettore patirà

                        più persino, parole proferirà.

                        

 

                        Parlerà premiata pubblicazione,

                        privata pregevole produzione,

                        perspicace politico progetto,

                        profilo professionale provetto.



Satiro scatenato

Sostasti sommerso sul sedimento sabbioso,

scandendo sapientemente secolo su secolo,

seducendo soavemente smaliziate sirene

scatenandogliene sensuale suggestione.

 

Salisti, sospeso su sagola solida,

spuntando sin sulla superficie salata,

suscitandoci sorprendente stupore,

sbalordendo stupefatto spettatore.

 

Se si saprà scandagliare substrato

si scoprirà segmento scorporato,

sinché solidamente sistemato

sfolgorerai “Satiro scatenato”.

 

Sul siculo sito sarai sublime

sbircerai sulle spoglie Selinuntine,

stendendo sazio sguardo su Segesta

segnerai Storia sospendendo siesta.


La strana storia di Penna Pensante

 

Viveva in una meravigliosa valle delle montagne Rocciose una tribù d’indiani Navajos, che si dedicavano prevalentemente alla caccia ed alla pastorizia. Il capo della tribù Falco Solitario era un uomo già abbastanza avanti negli anni, ma si poteva ancora vedergli, a dispetto di una capigliatura abbondantemente canuta, un corpo aitante ed una muscolatura ancora solida ed atletica; il suo capo era cinto da una cintura di penne variopinte e regali, lo sguardo fiero e profondo incuteva timore, ma infondeva contemporaneamente un gran senso di protezione ed affetto al suo popolo. La vita nel villaggio scorreva tranquilla ed bambini giocavano allegramente rincorrendosi e nascondendosi tra le tende, le donne erano intente alle attività più disparate, c’era chi si occupava di allattare i piccoli, chi della manifattura del ceramico vasellame, chi ancora della confezione dei capi d’abbigliamento ecc…ecc. Gli uomini già dall’alba erano impegnati in battute di caccia, e soltanto al tramonto sarebbero ritornati con le loro prede, accolti come sempre dalle grida di gioia dei bambini, e dalle festanti esclamazioni delle squaw.

La sera il villaggio si animava, i guerrieri s’impegnavano in danze propiziatorie emettendo gutturali urla e saltando al ritmico suono dei tamburi, poi seduti in circolo presso i fuochi del campo consumavano l’abbondante cacciagione raccontando mirabolanti azioni di caccia o eroici episodi di battaglie sostenute. Poco distante dal villaggio in un’ampia grotta prossima al greto di un tumultuoso ruscello viveva uno straordinario personaggio che aveva deciso di seguire la vita dell’anacoreta estraniandosi dalla vita attiva del villaggio trascorreva il tempo nella cura di un piccolo gregge ma soprattutto in lunghi periodi di meditazione poetica, questi si chiamava Penna Grigia, ma da tutti gli indiani del villaggio era ormai da tanto tempo chiamato “Penna Pensante” perché quando si sedeva chinando il capo a meditare, anche la sua unica penna fissata all’acconciatura, probabilmente per una microscopica lesione della rachide si curvava in avanti, dando anch’essa l’impressione di pensare. Penna Pensante era anche il poeta dalla tribù ed il consigliere più stimato ed ascoltato dal capo Falco Solitario e dal consiglio degli anziani.

 

Era stato proprio “Penna Pensante” ad aver assegnato il nome a molti guerrieri ed a molte donne del villaggio alla figlia del capo aveva posto il nome di “Alba Abbagliante” al fratello più piccolo aveva assegnato il nome di “Aquila Argentata” e così continuando aveva suggerito il nome di “Luna Levante” ed ancora “Puledro Pezzato” e tanti altri ancora.

Molti degli indiani del villaggio avevano dunque il nome loro assegnato dal nostro “Penna Grigia” alias “Penna Pensante” ed erano orgogliosissimi, perché lo stimavano ed apprezzavano tantissimo. La stima della tribù per “Penna Pensante” non era esclusivamente dovuta alle sue notevoli qualità poetiche ed umane, bensì anche ad un importantissimo episodio avvenuto molti anni addietro. Fu proprio il gran capo “Falco Solitario” a raccontare alla piccola “Alba Abbagliante” la storia della straordinaria impresa di “Penna Grigia” in una di quelle sere in cui si bivaccava attorno ai fuochi, e rivolgendosi alla figliola ebbe a dire: – Piccola Alba devi sapere che tantissime lune or sono il nostro villaggio si trovava molto più a Sud dell’attuale posizione dove la prateria si stende di un verde intenso, dove i pascoli erano abbondanti, le mandrie di cavalli selvaggi scalpitavano impetuose, i bisonti pascolavano placidamente, l’aria odorava dei fiori dei prati e riecheggiava dei nitriti delle puledre e dello stallone in calore. Quei territori però ben presto furono colonizzati dall’uomo bianco, questi catturò i cavalli selvaggi, uccise a centinaia i bisonti distrusse i pascoli creando una lunghissima ferita di legno e ferro nella prateria dove correva un mostruoso ed enorme cavallo di ferro che ululava sbuffando nuvole di vapore. Tutti cercammo di impedire questo scempio, combattemmo valorosamente vincendo anche molte battaglie, ma poi piano, piano arrivarono uomini bianchi dalle giacche azzurre più numerosi delle cavallette che portarono potentissime armi dalle canne tuonanti e seminarono morte e distruzioni. Nonostante il valore del popolo rosso moltissimi guerrieri perirono e cavalcano adesso le celesti praterie, intere tribù furono soggiogate e rinchiuse in “riserve” senza libertà ed alla mercé dell’alcool e dell’arroganza dell’uomo bianco. Analoga sorte sarebbe toccata anche a noi se non fosse intervenuta l’astuzia di “Penna Grigia” saputo infatti da un nostro esploratore che un reparto di cavalleria stava per dirigersi nel nostro villaggio si diede da fare per organizzare un ingegnosissimo piano di fuga; con un piccolo gruppo di guerrieri ed un piccolo branco di cavalli si diresse verso sud, fece legare ai cavalli delle travi e sopra fece porre numerosi sassi, simulando in questo modo la fuga della tribù verso sud, a me invece diede l’incarico di far fasciare con indumenti gli zoccoli dei cavalli e di condurre le donne i bambini ed il grosso della tribù a nord evitando di lasciare la minima traccia.

 

Così “Penna Pensante” si trascino dietro lo squadrone delle giacche azzurre fino ad una piccola conca posta al di là di uno stretto canyon quivi iniziò una disperata e strenua resistenza, favorito dalla favorevole posizione “Penna Grigia” tenne testa per molto tempo agli attacchi dei soldati, consentendo in questo modo a me di condurre la tribù in salvo sino nel luogo dove si trova attualmente.

Nonostante il coraggio ed il valore di quel piccolo gruppo di guerrieri alla fine, essi dovettero soccombere ad i ripetuti assalti dei nemici, “Penna Pensante” vide morire ad uno ad uno i fidati guerrieri, sebbene più volte ferito continuò a combattere finché ancora colpito vide scendere una rossa tenda sugli occhi, poi più nulla.

Credette di essere morto “Penna Grigia” e certamente tale dovettero anche

considerarlo i sodati che di lì a poco giunsero nella conca e che dopo una breve ispezione proseguirono il loro cammino alla vana ricerca della tribù fuggita.

“Penna Pensante” così almeno ci ha raccontato, aprì gli occhi sporchi dal sangue che gli colava dalla ferita al capo, si accorse così di essere l’unico superstite, cercando di frenare la rabbia e l’orrore che lo attanagliavano gridò con tutta la voce che gli era rimasta in corpo cercando di allontanare gli avvoltoi che stavano facendo scempio dei cadaveri dei suoi compagni, raccolse le poche forze che gli erano rimaste, arroventò al fuoco la lama del coltello poi la poggiò sulle ferite per cauterizzarle, quinci raccolse dei sassi ponendoli sopra i resti degli amici caduti per proteggerli dagli artigli e dai becchi degli immondi avvoltoi, quindi si avviò. Il viaggio sembrò interminabile più volte la febbre alta lo fece delirare, ma continuò il cammino sorretto da un incredibile forza interiore, forse donatagli dal Grande Spirito, e dal desiderio di scoprire se il sacrificio dei suoi compagni ed il suo calvario non erano stati vani. Fu così che i nostri guerrieri che ritornavano dalla caccia ad un puma lo trovarono quasi morente a poca distanza dal nostro accampamento. Appena giunse al villaggio completamente denutrito e disidratato bacio la terra poi levando al cielo gli occhi scintillanti di gioia e felicità ringrazio il Grande Spirito.

“Penna Pensante” guarì, fu rifocillato ed accolto con i massimi onori dalla gente della tribù che gli rimase eternamente grata per essere stata salvata dalla sua astuzia e dal suo coraggio. Così concluse il grande capo “Falco Solitario”  baciando sulla fronte la piccola “Alba Abbagliante” che si asciugava gli occhi dalla commozione per l’emozionante racconto.

“Penna Grigia” tuttavia col passare degli anni cercò di isolarsi sempre di più, lo si vedeva sempre più spesso allontanarsi dal villaggio e contemplare per ore la natura, a volte si rimproverava persino di essere sopravvissuto all’eccidio dei suoi compagni, altre volte si interrogava sul perché dell’esistenza, tal altre sulle origini della vita o sull’immortalità dello spirito. Un giorno infine prese la decisione di lasciare il villaggio e di stabilirsi in quella grotta dove l’abbiamo conosciuto all’inizio della nostra storia.

Abbiamo parlato in questa piccola storia di un “Penna Pensante” poeta perciò mi sembra giusto concludere questo racconto citando un piccolo componimento del nostro amico guerriero poeta