Ugo Mauthe - Poesie e Racconti

cambiamento climatico

 

ci vestiamo come se il freddo esistesse ancora

il mattino ci tradisce ci inganna la notte

fingiamo brividi al riparo di cristalli tiepidi

come se il freddo esistesse ancora la sera

ci abbracciamo nell’aria di stanze stantie

chiusi in case calde di un inutile calore

non c’è un unico freddo a questo mondo

tratto da “minuziosa sopravvivenza”, Il Convivio Editore, 2018


 

comincio a chiedermi

 

 

comincio a chiedermi come sarà

l’al di là

l’ho letto proprio oggi

guardi l’età

dell’altrui mortalità

e veloce conteggi

sul tempo che ti resta di qua

comincio a chiedermi come sarà

l’al di là

alzati e gira l’angolo

la prima stanza che trovi

è l’al di là

rispetto al qui quo qua

l’al di là eccolo qua

oppure là…

tratto da “minuziosa sopravvivenza”, Il Convivio Editore, 2018


 

delfini

 

non sappiamo

cosa si dicano i delfini

quando volano

nel più denso dei cieli

non sappiamo

di che ridano i delfini

quando mezzelune d’argento

frullano gli aromi del mare

non sappiamo

cosa pensino i delfini

dopo averci salvato

con piccole spinte

e quel loro largo sorriso


 

l’ora d’aria

 

camminava elegante di tutto punto

nel mezzo di quell’ora di punta

camminava su scarpe senza simmetria

nemmeno il bastone lo teneva sulla via

camminava muovendo la testa e le labbra

clown di se stesso un sorriso di sabbia

camminava frugando cassonetti

sguardo tremante gesti ancora netti

camminava con la nostalgia che l’artiglia

amando della vita anche quell’ultima figlia

camminava per il giro dell’isolato

perché ogni luogo aveva dimenticato

camminava a quell’ora che toglie il respiro

la chiamava l’ora d’aria dell’ultimo giro


 

l’oro che non sei

 

lavorando sulla indoor air quality

scopri l’universo della polvere

lo guardi con occhi irritati dalla rivalità

tu che ti credevi polvere futura destinata

alla nuvola eterna osservi

i frutti della polvere rotolare senza di te

ambire imperfetti alla perfezione

del nulla

laggiù vagli ti filtreranno

cercando l’oro che non sei, aspetti

ritraendo dita ghiacce

dall’orlo di te stesso, sottrai

lo sguardo dall’ipnosi

d’una seducente frammentazione

polvere rotola con saltellante allegria

la domanda è se la tua vivrà

d’un sobrio sorriso o sabbia sarà, morta

nella gravità della clessidra

il ciglio che ti ospita e confina sgretola

in polvere grossa che smagrisce precipitando

tratto da “minuziosa sopravvivenza”, Il Convivio Editore, 2018


 

l’ultimo lago

 

sulle rive di un lago scuro

niente letterarie memorie di rami

solo magri rami di memorie 

niente traghettatori solo noi

terrestri navigatori silenziosamente  

gridiamo una parola che non è 

terra tu spera sia cielo


 

[non più] vaghe stelle

 

le vedi quelle son stelle

stelle perdute stelle senza cielo

le stelle si perdono? non è vero!

sì piccolo mio, si perdono

come bambini nei centri commerciali

rassegnate luci dei nostri natali


 

Fermata di periferia

 

Una notte, nello specchietto orientato verso l’interno della cabina, aveva visto riflesso l’amplesso di due fidanzati che si erano presi sul pavimento dell’autobus vuoto, durante l’ultima corsa verso le ultime fermate di periferia. Li aveva guardati con tenerezza perché s’immaginava che una volta scesi si sarebbero trovati in quella periferia inospitale, il ragazzo l’avrebbe accompagnata a casa a piedi, magari un paio di chilometri e poi sarebbe tornato a casa sua, sempre a piedi. E se per una sera l’autobus si fosse trasformato in una camera di motel che importanza poteva avere? Così aveva spento tutte le luci interne, aveva rallentato e aveva girato senza meta per il quartiere il più a lungo possibile, guidando più dolcemente che poteva perché la felicità durasse di più per quei due che si abbracciavano sul pavimento sporco con il loro amore pulito. Come in quella canzone, Albergo a ore, ma a lieto fine.


Goll & Chopin

Goll è sepolto di fronte a Chopin. Si parlano dal 1950, prima non potevano perché Goll ancora viveva anche se moriva ogni giorno più di quanto normalmente si muoia. Da allora Chopin parla a Goll molto di più di quanto Goll parli a lui, perché si sente in colpa. Succede che la gente salga sulla tomba di Goll per fotografare quella di Chopin. Goll lascia fare, tanto non può morire di più né morire di nuovo, aspetta con pazienza che se ne vadano, così potrà ascoltare ancora Chopin, la sua voce bianca e nera.


L’ultimo soldato

L’ultimo soldato si chiamava Gerard Müller. 

Aveva ucciso il suo primo e unico essere umano all’età di cinque anni, per difendere la madre ferita. L’aveva fatto indossando l’elmetto ammaccato e perforato di suo padre, caduto da pochi minuti sul marciapiede squarciato. Un’ora prima Gerard stava ancora giocando alla guerra fra le macerie della loro casa, in una strada residenziale della sua città rasa al suolo, con un fucile di legno dono del partito e una colonna sonora di rumori d’ambiente che gli evitava il fastidio di imitare le esplosioni con la bocca.

Poi ebbe una vita lunghissima. Molto più lunga della vita di tutti gli altri. Tanto da destare curiosità. Era per questo che a un certo punto, intorno ai centotrent’anni, la scienza aveva iniziato a occuparsi della sua incredibile longevità, per non parlare delle interviste, dei talk show, degli articoli increduli e ammirati allo stesso tempo.

E così a poco a poco era uscito dall’ombra.

E dalla polvere della sua unica battaglia.

Di quella aveva raccontato quasi per caso in un’occasione oramai dimenticata e un giornalista aveva subito gridato al mondo intero che c’era ancora un soldato di quell’ultima guerra, uno ancora in vita.

L’ultimo di cui si fosse avuta notizia era stato un italiano, che aveva vissuto in una vallata dove la longevità era misteriosa e genetica o forse solo alimentare ma comunque c’era. Anche l’italiano aveva vissuto a lungo, raccontando dettagliatamente la sua guerra. Poi era morto.

Ne aveva parlato il mondo intero perché prima di Gerard era l’ultimo combattente noto di quell’ultima guerra. Aveva avuto funerali solenni. In mondovisione. Con lui spariva l’ultima possibilità di sentire dal vivo quei ricordi.

Certo. C’era tutto. Registrazioni di ogni genere. Filmati, trascrizioni e rimasterizzazioni. Ma lui no.

E quindi, quando diversi anni più tardi quel giornalista scoprì Gerard, al mondo non parve vero averne trovato ancora uno. Uno che potesse raccontare com’erano state veramente le cose. Non com’erano andate. Questo era scritto. No, proprio com’erano state. Cosa si provava. In verità anche questo era scritto ma sentirlo raccontare da qualcuno che l’aveva vissuto era tutta un’altra storia.

Da allora Gerard aveva avuto una seconda giovinezza anche se aveva raggiunto e superato i 150 anni di vita e poi i 300 e poi molto oltre ancora.

Quello che tutti volevano sentire erano i suoi ricordi di guerra. E Gerard li raccontava.

Aveva 5 anni quando la guerra era finita, poche ore dopo che lui aveva sparato il suo unico, mortale colpo. E il suo racconto terrorizzava chiunque lo ascoltasse. Anche perché lui l’aveva rielaborato abbellendolo, per così dire, con orrori indicibili e inediti. Raggiunse e superò i 700 anni ma l’espressione terrorizzata del pubblico riusciva a ispirarlo ancora e lui creava generosamente nuovi orrori. E quando, mille anni dopo, in circostanze non chiare, Gerard morì, la paura che la sua storia suscitava si dissolse, e con lei la pace.