cambiamento climatico
ci vestiamo come se il freddo esistesse ancora
il mattino ci tradisce ci inganna la notte
fingiamo brividi al riparo di cristalli tiepidi
come se il freddo esistesse ancora la sera
ci abbracciamo nell’aria di stanze stantie
chiusi in case calde di un inutile calore
non c’è un unico freddo a questo mondo
tratto da “minuziosa sopravvivenza”, Il Convivio Editore, 2018
comincio a chiedermi
comincio a chiedermi come sarà
l’al di là
l’ho letto proprio oggi
guardi l’età
dell’altrui mortalità
e veloce conteggi
sul tempo che ti resta di qua
comincio a chiedermi come sarà
l’al di là
alzati e gira l’angolo
la prima stanza che trovi
è l’al di là
rispetto al qui quo qua
l’al di là eccolo qua
oppure là…
tratto da “minuziosa sopravvivenza”, Il Convivio Editore, 2018
delfini
non sappiamo
cosa si dicano i delfini
quando volano
nel più denso dei cieli
non sappiamo
di che ridano i delfini
quando mezzelune d’argento
frullano gli aromi del mare
non sappiamo
cosa pensino i delfini
dopo averci salvato
con piccole spinte
e quel loro largo sorriso
l’ora d’aria
camminava elegante di tutto punto
nel mezzo di quell’ora di punta
camminava su scarpe senza simmetria
nemmeno il bastone lo teneva sulla via
camminava muovendo la testa e le labbra
clown di se stesso un sorriso di sabbia
camminava frugando cassonetti
sguardo tremante gesti ancora netti
camminava con la nostalgia che l’artiglia
amando della vita anche quell’ultima figlia
camminava per il giro dell’isolato
perché ogni luogo aveva dimenticato
camminava a quell’ora che toglie il respiro
la chiamava l’ora d’aria dell’ultimo giro
l’oro che non sei
lavorando sulla indoor air quality
scopri l’universo della polvere
lo guardi con occhi irritati dalla rivalità
tu che ti credevi polvere futura destinata
alla nuvola eterna osservi
i frutti della polvere rotolare senza di te
ambire imperfetti alla perfezione
del nulla
laggiù vagli ti filtreranno
cercando l’oro che non sei, aspetti
ritraendo dita ghiacce
dall’orlo di te stesso, sottrai
lo sguardo dall’ipnosi
d’una seducente frammentazione
polvere rotola con saltellante allegria
la domanda è se la tua vivrà
d’un sobrio sorriso o sabbia sarà, morta
nella gravità della clessidra
il ciglio che ti ospita e confina sgretola
in polvere grossa che smagrisce precipitando
tratto da “minuziosa sopravvivenza”, Il Convivio Editore, 2018
l’ultimo lago
sulle rive di un lago scuro
niente letterarie memorie di rami
solo magri rami di memorie
niente traghettatori solo noi
terrestri navigatori silenziosamente
gridiamo una parola che non è
terra – tu spera sia cielo
[non più] vaghe stelle
le vedi quelle son stelle
stelle perdute stelle senza cielo
le stelle si perdono? non è vero!
sì piccolo mio, si perdono
come bambini nei centri commerciali
rassegnate luci dei nostri natali
Fermata di periferia
Una notte, nello specchietto orientato verso l’interno della cabina, aveva visto riflesso l’amplesso di due fidanzati che si erano presi sul pavimento dell’autobus vuoto, durante l’ultima corsa verso le ultime fermate di periferia. Li aveva guardati con tenerezza perché s’immaginava che una volta scesi si sarebbero trovati in quella periferia inospitale, il ragazzo l’avrebbe accompagnata a casa a piedi, magari un paio di chilometri e poi sarebbe tornato a casa sua, sempre a piedi. E se per una sera l’autobus si fosse trasformato in una camera di motel che importanza poteva avere? Così aveva spento tutte le luci interne, aveva rallentato e aveva girato senza meta per il quartiere il più a lungo possibile, guidando più dolcemente che poteva perché la felicità durasse di più per quei due che si abbracciavano sul pavimento sporco con il loro amore pulito. Come in quella canzone, Albergo a ore, ma a lieto fine.
Goll & Chopin
Goll è sepolto di fronte a Chopin. Si parlano dal 1950, prima non potevano perché Goll ancora viveva anche se moriva ogni giorno più di quanto normalmente si muoia. Da allora Chopin parla a Goll molto di più di quanto Goll parli a lui, perché si sente in colpa. Succede che la gente salga sulla tomba di Goll per fotografare quella di Chopin. Goll lascia fare, tanto non può morire di più né morire di nuovo, aspetta con pazienza che se ne vadano, così potrà ascoltare ancora Chopin, la sua voce bianca e nera.
L’ultimo soldato
L’ultimo soldato si chiamava Gerard Müller.
Aveva ucciso il suo primo e unico essere umano all’età di cinque anni, per difendere la madre ferita. L’aveva fatto indossando l’elmetto ammaccato e perforato di suo padre, caduto da pochi minuti sul marciapiede squarciato. Un’ora prima Gerard stava ancora giocando alla guerra fra le macerie della loro casa, in una strada residenziale della sua città rasa al suolo, con un fucile di legno dono del partito e una colonna sonora di rumori d’ambiente che gli evitava il fastidio di imitare le esplosioni con la bocca.
Poi ebbe una vita lunghissima. Molto più lunga della vita di tutti gli altri. Tanto da destare curiosità. Era per questo che a un certo punto, intorno ai centotrent’anni, la scienza aveva iniziato a occuparsi della sua incredibile longevità, per non parlare delle interviste, dei talk show, degli articoli increduli e ammirati allo stesso tempo.
E così a poco a poco era uscito dall’ombra.
E dalla polvere della sua unica battaglia.
Di quella aveva raccontato quasi per caso in un’occasione oramai dimenticata e un giornalista aveva subito gridato al mondo intero che c’era ancora un soldato di quell’ultima guerra, uno ancora in vita.
L’ultimo di cui si fosse avuta notizia era stato un italiano, che aveva vissuto in una vallata dove la longevità era misteriosa e genetica o forse solo alimentare ma comunque c’era. Anche l’italiano aveva vissuto a lungo, raccontando dettagliatamente la sua guerra. Poi era morto.
Ne aveva parlato il mondo intero perché prima di Gerard era l’ultimo combattente noto di quell’ultima guerra. Aveva avuto funerali solenni. In mondovisione. Con lui spariva l’ultima possibilità di sentire dal vivo quei ricordi.
Certo. C’era tutto. Registrazioni di ogni genere. Filmati, trascrizioni e rimasterizzazioni. Ma lui no.
E quindi, quando diversi anni più tardi quel giornalista scoprì Gerard, al mondo non parve vero averne trovato ancora uno. Uno che potesse raccontare com’erano state veramente le cose. Non com’erano andate. Questo era scritto. No, proprio com’erano state. Cosa si provava. In verità anche questo era scritto ma sentirlo raccontare da qualcuno che l’aveva vissuto era tutta un’altra storia.
Da allora Gerard aveva avuto una seconda giovinezza anche se aveva raggiunto e superato i 150 anni di vita e poi i 300 e poi molto oltre ancora.
Quello che tutti volevano sentire erano i suoi ricordi di guerra. E Gerard li raccontava.
Aveva 5 anni quando la guerra era finita, poche ore dopo che lui aveva sparato il suo unico, mortale colpo. E il suo racconto terrorizzava chiunque lo ascoltasse. Anche perché lui l’aveva rielaborato abbellendolo, per così dire, con orrori indicibili e inediti. Raggiunse e superò i 700 anni ma l’espressione terrorizzata del pubblico riusciva a ispirarlo ancora e lui creava generosamente nuovi orrori. E quando, mille anni dopo, in circostanze non chiare, Gerard morì, la paura che la sua storia suscitava si dissolse, e con lei la pace.