Milleseicentosessantuno né peste né colera

Se ne stava lì. Immobile. Attonita. I biondi capelli fini, sciolti e lunghi le cadevano sulle guance, quasi a voler timidamente coprire le lacrime che, silenziose e rispettose, le scendevano senza un sussulto. Senza scomporsi. Aspettava.

Che dispiacere. Non riusciva a girarsi e guardare. Sembrava quasi una realtà non sua. Quel mucchio di lenzuola bianche. Il carretto appoggiava sul selciato. Nel buio della notte, solo le rapide e ballerine fiamme delle lampade ad olio sembravano avere un sospiro di vitalità.

I due corpi inermi sembravano aver subìto un incontro all’ultimo respiro con la peste. Oppure con il colera. Cosa era stato? Che cosa aveva interrotto l’esistenza di quelle due creature … Lei li amava così tanto … amava la dolcezza di quella bambina, era il suo stesso respiro.

E lui … Quando l’aveva portata in città era bello come il sole. Era trascorso appena qualche anno. Lui l’aveva sposata in quel posto magico. La grotta, su per i boschi, vicino alla cascata. Avevano percorso il fiume sulla barca nera dal bordo dorato. Lei era così bella! Questo abito bianco, semplice ma raffinato allo stesso tempo. Agata, gli occhi vispi, le si confondeva in braccio. Fiori bianchi profumati erano lungo tutto il passaggio.

La felicità di trovarsi di fianco all’uomo più bello e più ricco della città, le aveva fatto dimenticare il dolore di abbandonare i suoi.

Lo sguardo di sua madre era pieno di pensieri. Chissà. Forse percepiva qualche cosa.

Peccato non potesse sentire l’accoglienza riservatale dagli amici di lui. Doveva comunque sforzarsi di immaginarla. Non le veniva difficile. Da bambina aveva imparato bene e si era allenata tantissimo a sentire con l’immaginazione.

Quel palazzo le sembrava un sogno. Su un piccolo colle. Da lì si dominava la città. Con il passare dei mesi aveva arredato il chiostro al punto tale che non si contavano le varietà di fiori e di piante aromatiche che troneggiavano lungo il piccolo e delicato colonnato.

E in mezzo al giardino, vicino alla fontana, riparato da cristallo e seta brillava limpido il gioiello delle fate. Quel prezioso dono che i suoi genitori le avevano fatto, proprio affinchè lei lo portasse in città. Era un gioiello di protezione. Aveva qualche cosa di magico e con lui lei si sentiva sicura.

Quella terribile notte, lei lo aveva invocato. Così, silenziosamente. E così invano. Un silenzio che però fragorosamente dirompente le tuonava nella mente.

Lei aveva desiderato con tutta se stessa che la bambina riprendesse a respirare. L’aveva cullata tanto a lungo, pensando che dormisse, prima di accorgersi di quello che era successo.

Era corsa fuori. Con quel peso inerme tra le braccia. Una piccola dolcezza, abbandonata ad un sonno eterno.

E, mentre implorava la magia del cristallo, non si accorgeva di niente.

Quella specie di brutto ceffo che stava sempre all’ingresso, lo aveva sentito respirarle accanto all’ultimo momento. Coperto nel suo nero mantello, con quei baffi che gli spuntavano oltre il contorno del viso, con quello sguardo sinistro, le veniva incontro minaccioso.

Che protezione a volte non sentire e non parlare. Lei, sorridendo e scuotendo la testa, indietreggiava verso la fontana.

E’ stato a quel punto. Improvvisamente, il suo meraviglioso uomo, è apparso ridendo … ma quelle labbra stavano disegnando un ghigno strano, a lei irriconoscibile.

E’ stato un attimo. Una frazione di un infinitesimo di istante. Un attimo. La macchia rossa sulla parete bianca del tempietto. Lui senza vita a terra.

Come ha fatto a trovarsi in strada, davanti a quel carretto, non se lo ricorda. Silenziosamente, le passano le immagini delle ultime due ore davanti agli occhi.

Seta e fine tela ricamata proteggono il gioiello, che le farà da testimone, vita dopo vita e che la rasserenerà nei momenti amari. Una trasparenza mistica, che attraverserà i confini, esistenza dopo esistenza, e che la aiuterà a trasformare il senso di colpa, che le ricorderà che la giustizia e l’amore attraversano il tempo. Lei è lì ferma, che aspetta, in silenzi…o e ascolta la vita. Con l’immaginazione parla alla sua dolce bambina. E se la porta attraverso l’eternità.


A MIO NONNO

Quando ero piccola non volevo mai venire a passeggio con te … mi dava così fastidio che non davi mai la mano ma ci davi il dito indice, a cui ci ordinavi di aggrapparci … e io che non lo stringevo mai abbastanza … e, quelle rare volte che abdicavo al passeggio, tu passavi tutto il tempo a dirmi “stringi forte mumini”… ci sono giorni, oggi, che non so cosa darei per aggrapparmi alla tua forza, a quella figura così austera e padrone della vita. Sei stato sotto le bombe, tu. Sei stato nei rifugi e tanto spesso raccontavi della paura del viaggio da Milano a Erba il venerdì, in quegli anni dove per voi vivere da sfollati del fine settimana era praticamente normale…. e poi tu la sapevi sempre: con te si poteva parlare a profondo livello di qualsiasi argomento… Tu eri quello che anche se non aveva mai visitato un posto, te lo raccontava come se ci vivesse da una vita. … Preciso, quasi ossessivo con i conti di casa…magari avessi assorbito da te anche solo un centesimo della tua pratica corretta in economia domestica … Tu eri sempre il primo a fare gli auguri nelle ricorrenze … tipo anche quando il compleanno era di domenica stavo certa che tu alle 7.45 telefonavi per farmi gli auguri … E, durante tutti gli anni di università, non ce l’ho fatta a farti capire che la sera prima dell’esame non si diceva auguri ma in bocca al lupo. Ci sono ancora dei regali per casa che mi parlano di te … non so com’è ma tu avevi sempre la parola giusta al momento giusto e il regalo giusto per ogni occasione… Insomma sempre incredibilmente sul pezzo … Credo, a distanza di anni, che tu avessi una grande capacità affettiva che, a volte, tenevi sommersa … chissà…forma di difesa? Paura di mostrarti nella tua parte emotiva? Chissà … Eppure avevi uno spiccato istinto protettivo verso i tuoi affetti, e la tua incomprensibile severità era tanto spesso smorzata ad intermittenza da imprevedibili moti di tenerezza. Grazie per tutto quello che ci hai insegnato, anche quando non lo capivo…