Poesie e Racconti
I CONTORNI DEL MONDO
L’ultimo aereo è decollato nell’oscurità
come una dichiarazione d’intenti.
Ho nutrito i miei polmoni bruciati
di luce e notte e nebbia
e d’amore sfilacciato,
corroso dai giorni.
Nella mia dimensione strattonata,
implosa, il tempo non avanza più.
cuore impreparato
all’artigliare della musica,
al ribollire del pensiero.
Ingenua mortalità
piegata a brevi istanti di fame.
Dita tiepide sfiorano il vetro
di una clessidra silenziosa.
Nebulose splendenti
si allungano in una carezza fredda,
sfiorando i miei sogni spigolosi.
La fiamma fragile che ho smesso
di nutrire è ancora tiepida,
agganciata alla mia orbita
come edera testarda.
L’infinito mi soffoca
e il mio limite mi schiaccia.
La pelle è sorda nel silenzio
delle ore. La casa è vuota.
Il futuro si offre sottovoce,
gocciolando in rivoli di scelte.
Occhi aperti nel cuore delle stelle:
mai sono stati così eterni
i contorni del mondo.
RICORDO DI VELLUTO
Corpi annodati, spine incastrate.
Respiri che si spezzano
sull’incenso
solleticante del silenzio.
Lasciarsi scorticare via i minuti
dai nervi, nella primavera
dell’assenza. Lasciar
rotolare giungle di
zanne seghettate sul resto
della tela.
Velare di miele le macchie
sulle labbra, colare dolci
ruscelli di fragola sugli
angoli scoloriti
delle parole. I nostri
discorsi sbiadiscono
al progredire degli assaggi.
Tracci i miei contorni
ancora una volta, scivolando
fuori dal mio mondo
come un ricordo di velluto.
SPECCHIO
He woke up in a field
of burning red roses
And the wind was singing
in whirlwinds of light.
He didn’t remember
and free he walked
Knowing the world
with the touch
of his fingers.
La luna cadeva piano, scivolando su una cascata di stelle. Illuminava a tratti la gola nera delle faglie
che squarciavano la terra. Quel che non era stato inghiottito insisteva a rifiorire.
Il mondo era una clessidra: aveva pianto tutta la sua sabbia ed era stato rivoltato. Il tempo
circolava di nuovo, correndo in arterie diverse. Solo il suo cuore ancora batteva, unico suono in un
deserto muto.
Posava lo sguardo sui muri sgretolati dei castelli che tentavano di aggrapparsi al ciglio del proprio
baratro. Crollavano lenti, pezzo dopo pezzo. Gorgogliavano parole di mattoni e polvere e
sparivano nella bocca spalancata del sottosuolo. Lui avanzava, accarezzando quell’agonia con passi
aggraziati.
Non cercava nulla. Non ricordava nulla. I petali dei fiori si aprivano davanti ai suoi occhi, assetati di
umidità notturna. E lui li capiva.
Il cielo ruotava. Le nubi si rincorrevano in un vortice che aveva lo stesso colore delle sue labbra.
Tutto era appena nato. I primi affannosi respiri di un nuovo universo gli sfioravano la pelle.
La melodia lo colpì come una tempesta improvvisa. Sapeva d’acqua, di sole, dell’angoscia dei
tramonti. Gli chiedeva di correre e sperare. E lui corse, ma non sperò nulla, perché non aveva
ricordi.
L’albero era altissimo e sottile. I rami si staccavano dal tronco versando liquido denso. La luna
aveva smesso di cadere e fluttuava nervosa tra le fronde morenti, posandosi a tratti sulla punta
delle loro dita: si risvegliava ad ogni nuovo attacco della melodia e ricominciava a fremere, attratta
e disgustata.
Dietro le foglie argentate, lui intravide un movimento flessuoso.
Le piume si confondevano con la chioma dell’albero in quella notte immobile. L’amaranto del cielo
riflesso per un istante su morbide ali scure: non gli servì altro. Affondò gli artigli nella corteccia
sanguinante e iniziò a scalare.
I rami erano come lame. Metro dopo metro, le sue ferite liberavano linfa rossa che si aggiungeva
al pianto del mondo.
La luna si era nascosta: intorno a lui solo il fuoco del cielo e l’abisso nero di un luogo dimenticato.
Ad ogni goccia di sangue persa nella salita, sentiva crescere la fame. Il suo corpo diventava un
vuoto da riempire e il desiderio lo trasformava in un’arma sempre più affilata.
La melodia dolce che proveniva dalla creatura sconosciuta lo stordiva. Ne sentiva il sapore sulla
lingua, nei polmoni, si insinuava sotto la pelle.
Sfinito, la lunga chioma appesantita dal sangue, crollò a respirare il riflesso della notte sulla cima
dell’albero. La melodia si spense all’improvviso. La luce della luna rinacque candida, risalendo
dietro l’orizzonte. Lui alzò lo sguardo e vide la creatura voltarsi, in un fruscio di piume e sussurri.
Non era nulla che potesse ricordare. Non era nulla che sentisse di conoscere.
Udiva solo un nuovo cuore pulsare con forza incontenibile, sovrastando il suo che gli sibilava
stanco nel petto.
I loro occhi si incontrarono in un guizzo di luce: gli sembrò di allontanarsi verso un orizzonte
sfocato. Eppure sorrise.
E venne ricambiato. E al sorriso di quell’essere incomprensibile lui si risvegliò.
Ogni centimetro del suo corpo bruciava. Non c’era nulla che lui potesse sapere. Non c’era più nulla
che conoscesse. Ma sentiva. E l’unica certezza era la fame.
Quelle ali erano enormi e forti. Quella pelle liscia e calda. Quel sorriso non si spegneva. Riluceva
con più fulgore ad ogni morso.
Lui non capiva, non giudicava. Non desiderava. Si muoveva alla volontà di un fuoco più grande di
sé. Dilaniava quella creatura strana e ne beveva via la vita melodiosa senza che si ritraesse di un
centimetro. Stringeva, invece. Con braccia lunghe e gemiti liquidi.
Lui beveva e riprendeva le forze, si riempiva la bocca di Essere.
Allora perché si sentiva svuotare? Alzò lo sguardo verso quel viso sconosciuto. E in quegli occhi si
vide scivolare insieme al sangue dell’albero verso il suolo nero. Cadevano intrecciati tra loro, nelle
viscere della terra.
Allora sentì che ogni suo morso tornava all’origine. Che ogni volta che prendeva, dava a sua volta.
Che l’unica vita che avesse mai bevuto era la propria.
Strinse più forte e non si domandò nulla. Il suo cibo si cibava di lui. Non esistevano confini, solo
identità.
L’oscurità li avvolse morbida inghiottendo le sillabe che si spezzavano reciprocamente in bocca.
Udiva di nuovo quella melodia di miele, triste: era dentro di lui. Cresceva al ritmo del suo respiro.
Non sapeva nulla. Non ricordava nulla. Ma non ce n’era bisogno. A ogni battito, il suo cuore
irrorava l’universo intero di verità.