ASPETTANDO LA MUSA SOLITARIA

Seduto su una panchina
aspettando che termini una lezione di yoga,
la mia gloria sta tutta
in una sigaretta quasi fumata.
Clandestino in un paese
di migranti
per colpa di un timbro errato,
così lontano da casa
e adagiato su una coscienza
rubata ad una poesia
letta da poco.

Come un bambino
mi stupisco di come tutto sia ordinato,
di come le macchine
siano tutte precisamente parcheggiate,
di come la gente pazientemente
stia al suo posto
senza sogni di navigazione d’oltreoceano.

Uccido il mio “io” uomo
e lascio che il fanciullo
scriva al mio posto,
lui che abbraccia la notte
con un cuscino marrone,
stretto al suo sogno esotico,
ignaro del sogno erotico
che sarà costretto a sognare
tra qualche anno.

Proprio mentre aspetto
(e l’aspettare mi è facile
come per voi è facile
trovare e-motion per le vostre emozioni)
mi pare di affondare in un labirinto
di fango speziato
chile dulze e sakamoko.

Nella mia grande partita
con il mondo
ho lasciato giocare una mano
ad una ragazza ispano-americana;
ha vinto
ed io ho esclamato:

“hai visto come io sia un perdente?”

Eppure tutti i giorni parlo
con gli dei dimenticati
e marciti in libri scolastici,
parlo con loro
della conquista della terra,
parlo d’amore e di bellezza,
parlo di fottere la grande baracca,
eppure . . .
ho già perso
ma non per questo mi alzo
da questa panchina
e mi getto nell’oceano.

Ho chiesto protezione alle parole
e queste mi hanno risposto
che l’unica soluzione è scrivere,
così ho raccolto il mio sangue
dalla banca del sangue
e ho scritto come scrivono i bambini,
senza inizio e senza fine.
Per sicurezza (e per comodità)
ho chiuso a chiave la mia giacca
come gesto di sfida ,
come a dire:

“Adesso se mi vuoi
devi squartarmi
operarmi
e darti alla latitanza.”

ma con chi sto parlando?
ad un cane che mangia le mosche
mentre io mangio pomodori e prosciutto?
o forse sto parlando
al ragazzo americano
che spinge carrelli per la spesa
comodamente ovattato
nella perfezione del sistema?

Ricevo la mia musa per posta
da un genio-postino
(non sa che riposerà
all’ombra di un albero
in un posto tranquillo).

Ho i muscoli delle gambe intorpiditi
e forse dopo faro all’amore,
ma ora
su questa panchina ordinata
provo
ancora una volta
a prendere tutto quello
che si muove nel mio stomaco
e trasformarlo in una farfalla
che presto si muoverà verso sud
lasciando una scia di profumo
nel cielo limpido di ottobre.


VERITÁ

Le vuote verità chimiche di laboratorio
coprono la minima distanza
mentre percorriamo vuoti corridoi universitari
alle 8.30 in mattini di gennaio
prima di percorrere vuote strade di ghisa
che ci lasciano in eredità fossili grigi.

Amo immensamente una ragazza,
lei ha a cuore la verità
mimandola con ogni movimento degli occhi,
tatuata sui seni,
impressa nella sua pelle candida.

Le poesie si scontrano nella testa
come cani ciechi in nuove case non ancora odorate.

La verità giallo-paglierino.
La verità dei covoni di grano.
La verità della mia solitudine.
La verità sciolta dell’utero materno.

Verità.
Verità.
Verità.

Tutti i versi non scritti
che si salvano dalla corruzione dell’inchiostro;
i gesti del corpo, non così fortunati,
patiscono la menzogna della città promessa
dei suoi servi
delle infinite rotatorie nauseanti.

Naso plastica piede vescica vello vongola polpo.

Perché la mia verità rimane mia?

Poeti assassinati non creduti dalla legge
elevo a voi il mio sole
le verità del mio sole.

Eravamo tutti stupendi, questo lo ricordo bene,
non l’ho dimenticato.
Ora dalle mie orecchie colano parole rancide
e dai miei occhi le antiche lacrime di verità.

Non potatemi le gambe,
lasciatemi camminare e vagare e ritornare
lasciate il vento nelle strade,
la speranza è il vento.
Vento-verità.
Vento-scarafaggio di pulizia.

Disobbedisco a Dio per la verità.
Abbasso le tende dell’appartamento
per meglio gridare le mie pazzie
in questo tempio irregolare.
Asciugo pavimenti scivolosi
per meglio prepararmi alla partenza.

Il piccolo passero-verità
dal secco ramo invernale
fruga col suo becco nelle morbide piume.
Ho un cuscino di piume
che probabilmente spiccherà il volo;
lascerà a terra le mie ossa gelide
e tutti gli interrogatori
di sguardi interrogativi.

Piccoli e innocui miraggi
appesi alle mie dita
inseguiti dal rumore dei passi.

Verità.
Verità.
Verità.


P O E S I E

Ho venduto poesie
ai mercanti di Marrakesh
per poter comprare hashish,
cercando poi altre poesie
tra le nuvole di fumo
sulle montagne dietro Issaguen.

Ho regalato poesie
a una ragazza dai capelli mossi
dopo averla baciata una notte intera
sfiorando la mia pelle contro la sua
come un gatto in cerca di fusa
e mentre lei portava la sua bellezza
verso oriente
io preparavo il mio zaino sognante
guardando verso Ovest.

(magari ci incontreremo casualmente
sulla linea dell’equatore
a metà strada
con razioni di cibo sufficienti
per un’alba rubata al fuso orario)

Ho meditato poesie
disteso sul letto
nelle notti di agosto
e ho deciso di non tradurle
lasciandole ai grilli accaldati,
fedeli ascoltatori delle mie mute parole.

Ho improvvisato poesie
a gambe incrociate su una sedia rossa,
accanto al mio braccio destro un martello,
appena sopra il mio braccio sinistro
l’Inferno di Dante.

Ho scalciato poesie
sul fondo di bicchieri per liquori
come un vecchio barbuto
che insegna a un giovane sbarbato
il Big Sur,
Cassiopea,
Ippopotami libreschi,
Respirazioni bocca a bocca,
l’estate che in verità non finisce mai.

Ho venduto
Ho regalato
Ho meditato
Ho improvvisato
Ho scalciato

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P O E S I E