Il mare dei sogni

Le onde del mare scorrevano lentamente, scaturendo suoni di
piacere, suoni esistiti solo nella mente di chi ancora aveva il
potere di credere. Il cielo e il mare si univano in unico luogo,
portando quella bellezza senza cui il mondo non esisterebbe.
Solo una lunga tavola azzurra: niente terre, solo sogni. Sogni di
vite trascorse nell’attesa, sogni che vestono anime. Erano
sogni, quelli illuminati da un Sole portatore di magie; erano
sogni, quelli cullati da mari in cerca di libertà. Le onde del mare
accompagnavano quei sogni in quella barca con quelle
persone in quella vita che nessuno aveva desiderato. Erano
sogni, gli occhi che osservavano l’infinito cullare dei loro
pensieri; erano sogni quelle persone e nessuno l’aveva capito,
nessuno li aveva capiti. Ciascuno con una propria storia,
ciascuno con una propria anima: era anima il mare, e l’acqua
diveniva sentimento in cui sognare ancora, in cui sperare
ancora, in cui chiudere occhi e immaginare. Ogni parola si
svuotava di ogni significato, di ogni emozione, si svuotava di
ogni vita sperata, di ogni vita sognata. Silenzio. Occhi che
guardavano in silenzio, mentre il mare cullava sogni, pensieri,
mentre cullava persone. Erano persone, e nessuno l’aveva
capito, nessuno li aveva capiti. Nessuno era riuscito a guardare
quegli occhi e farli divenire stelle da ammirare ogni sera, stelle
che hanno il potere di illuminare mondi quanto tutto intorno è
buio. Loro erano luce, e il mare diveniva quasi eternità, il mare
diveniva casa.
Isaam osservava sua figlia dormire, in quel mare che le
somigliava più di quanto si potesse immaginare. Le accarezzò
la guancia delicatamente, mentre sogni si ripresentavano
ancora nella mente, come scenari in cui avere sempre la forza
di credere. E lo fece davvero, in quei pochi istanti. Isaam
credeva. Credeva in quelle parti di mondo dove umanità
significava semplicemente amore, credeva in quelle parti di
mondo in cui la luce degli occhi diveniva realtà. I suoi pensieri
furono però interrotti dalle lacrime di suo figlio Iyad, che gli
ricordarono quanto dolorosa e crudele fosse la loro vita, quanto
la luce potesse divenire buio improvvisamente. Sempre più
buio. Tremava, il fanciullo. Tremava coperto da paure, tremava
coperto da pianti, tremava coperto da Aidha. La mamma lo
abbracciò calorosamente, convinta di poter trasformare freddi
in calori, convinta che l’amore potesse illuminare quei bui
sparsi in mondi sempre più distanti. La famiglia restò in silenzio
per tutto il viaggio, restò in silenzio mentre occhi sognatori di
luci erano cullati da mari sognatori di libertà. La bimba dormiva;
il bimbo piangeva. Sogni mescolati con realtà viaggiavano in
quella barca, e non c’era nulla che avrebbe potuto mutarli, non
c’era nulla che avrebbe potuto salvarli, tranne la convinzione
che il mondo avrebbe potuto finalmente capirli. Così, flashback
di vita vissuti iniziarono a scorrere nella mente di Iyad, secondo
cui credere era ormai un’utopia. La loro vita era tornata, sotto
forma di ricordi… e i ricordi erano forse l’unica cosa che
restava, in quel mare privo di tutto se non di persone.
I ricordi riportarono il fanciullo a un anno prima, nel villaggio in
cui era nato e cresciuto. I suoi piedi calpestavano terre colme di
fango e sacrifici, mentre la sua mamma era riuscita ad ottenere
quel poco di pane con cui potevano cibarsi. Raggiunsero
l’accampamento, e maree di fanciulli si precipitarono su quelle
briciole, briciole che rappresentavano gioielli, briciole che erano
gioielli, gioielli che divenivano occhi, occhi che divenivano
sogni. Isaam e Aidha non riuscirono a mangiare nulla, convinti
che il cibo era diamante solo per quei fanciulli i cui sogni non
erano ancora cresciuti del tutto. Avevano lavorato vite intere
per garantire loro felicità. L’acqua tardava, il pane non aveva
futuro, le forze andavano sempre più perdendosi e con loro
anche i sogni. Sognavano. Sognavano una Terra in cui si era
liberi di svegliarsi la mattina ed essere chi si vuole diventare,
sognavano una Terra in cui vivere non significava sopravvivere.
E invece.. invece trascorrevano giornate lavorando terre,
allevando animali, costruendo baracche, tutto per poter
assaggiare briciole di pane che non erano mai abbastanza per
sfamare tutti. Era un inferno, vivere nell’Eritrea. Tutta la vita era
un inferno. Era questo il pensiero del fanciullo, mentre
piangeva e temeva, mentre piangeva e tremava. Osservò la
sorellina che dormiva, Iyad.. e non capiva come facesse a
restare così tranquilla, non capiva cosa stesse sognando.
Anche nella mente della bimba scorrevano immagini di quando
la loro vita era diversa. Nei sogni, pensava alle sere trascorse
attorno al fuoco. Era felicità, quel momento. I fanciulli
danzavano attorno al falò, portando luci necessarie, portando
amori sognati. I piedi calpestavano terre di fango e sacrifici, ma
lo facevano mentre il vento carezzava pelli deboli e timorose, e
ogni cosa diveniva perfetta. Erano magia, quegli attimi. Non
avevano nulla, ma erano felici. Felici dei sorrisi, delle carezze,
di attimi tassellati di quella libertà che ogni umanità cerca. Così,
Iyad e Faiza continuavano a danzare, avvolti da panneggi di
calore. Si addormentavano così, quelle sere. Si
addormentavano tutti su una Terra colma di fango e sacrifici,
mentre il falò aveva la capacità di trasformarsi in stelle scoperte
negli occhi di coloro che ancora riuscivano a credere. Era luce,
quel momento. E forse non sarebbe mai stata rapita, quella
luce, perché era stella da ammirare ogni sera. Era stella da
ammirare quando umanità si riempiono di buio e la luce diviene
quasi impossibile da raggiungere. Erano luce, i loro sogni.
Erano persone.
Mentre le onde del mare scorrevano lentamente, scaturendo
suoni di piacere, suoni esistiti solo nella mente di chi ancora
aveva il potere di credere, nella città di Milano, città fredda e
caotica, Patrizio e Lorella erano appena rincasati. Serbavano
tra le mani buste contenenti quantità enormi di cibo che
mostrarono subito ai loro figli. Dafne e Gabriele si precipitarono
immediatamente, convinti di poterli assaggiare subito.
Lasciarono ciò che non gli piaceva, e iniziarono a mangiare ciò
che invece era di loro gradimento. Finito il cibo, si precipitarono
dinnanzi alla tv e lì restarono fino alla sera. Erano così le sere,
nella città di Milano. Erano sempre un rincorrere la felicità
senza mai raggiungerla, erano sempre un stare in compagnia e
conoscere la solitudine, erano sempre un caos di movimenti, di
persone che camminavano senza sapere dove erano diretti, un
insieme di sogni che si compivano solo nella mente e mai nel
cuore, un desiderare una vita sempre migliore pur non sapendo
che loro vita era migliore. Avevano tutto, ma erano infelici.
Infelici dei sorrisi falsi, di quegli attimi in cui non erano liberi di
danzare e diventare sé stessi. Così, quella sera, si
addormentarono così i due fanciulli milanesi: si
addormentarono mentre i sogni già stavano invadendo la
realtà; si addormentarono non sapendo che, in una parte a loro
molto lontana, sogni e realtà erano due dimensioni
completamente opposte, e loro avrebbero potuto unirle, così
come l’intera umanità.
Le onde del mare scorrevano lentamente, scaturendo suoni di
piacere, suoni esistiti solo nella mente di chi ancora aveva il
potere di credere. Il cielo e il mare si univano in unico luogo,
portando quella bellezza senza cui il mondo non esisterebbe.
Solo una lunga tavola azzurra: niente terre, solo sogni. Sogni di
vite trascorse nell’attesa, sogni che vestono anime. Erano
sogni, quelli illuminati da un Sole portatore di magie; erano
sogni, quelli cullati da mari in cerca di libertà. Le onde del mare
accompagnavano quei sogni in quella barca con quelle
persone in quella vita che nessuno aveva desiderato. Erano
sogni, gli occhi che osservavano l’infinito cullare dei loro
pensieri; erano sogni quelle persone e nessuno l’aveva capito,
nessuno li aveva capiti. Ciascuno con una propria storia,
ciascuno con una propria anima: era anima il mare, e l’acqua
diveniva sentimento in cui sognare ancora, in cui sperare
ancora, in cui chiudere occhi e immaginare. Ogni parola si
svuotava di ogni significato, di ogni emozione, si svuotava di
ogni vita sperata, di ogni vita sognata. Silenzio. Occhi che
guardavano in silenzio, mentre il mare cullava sogni, pensieri,
mentre cullava persone. Erano persone, e nessuno l’aveva
capito, nessuno li aveva capiti. Nessuno era riuscito a guardare
quegli occhi e farli divenire stelle da ammirare ogni sera, stelle
che hanno il potere di illuminare mondi quanto tutto intorno è
buio. Loro erano luce, e il mare diveniva quasi eternità, il mare
diveniva casa.
Patrizio e la sua famiglia erano appena approdati nell’isola
siciliana, convinti che quella sarebbe stata una vacanza da
ricordare. Fu davvero così: sbagliarono rotta, quel giorno, e
finirono nella città di Lampedusa, città che Patrizio detestava.
Assicurarono i passeggeri che avrebbero sistemato il tutto
nell’arco di qualche ora; intanto li invitavano a mangiare
qualcosa e a fermarsi ad osservare l’infinito di quel mare.
Patrizio non sopportava l’idea della migrazione, fenomeno in
cui migliaia di “falliti” non riuscivano a mantenere viva la propria
patria, approfittandosi del benessere altrui. “Noi non siamo
benefattori, non possiamo essere sfruttati a loro beneficio”,
diceva sempre. Sperava di non incontrare tutti quegli immigrati
che puntualmente arrivavano in Italia, sperando di poter trovare
libertà. Dafne e Gabriele si allontanarono dai genitori e
iniziarono a passeggiare lungo la piccola isola, forse in attesa
di qualcosa di migliore; nemmeno quel viaggio li aveva
appagati. Improvvisamente, scorsero da lontano un’enorme
barca contenente anime: alcuni ridevano, alcuni piangevano,
alcuni tremavano, alcuni credevano. Fu un attimo. Fu un
istante. Qualcosa accadde davvero.
Urla.
Dolore.
Vite spezzate.
Fu un attimo, e i sogni morirono.. uno dopo l’altro.
I due fanciulli: immobili.. spaventati.. in silenzio.
Non c’erano parole da esprimere per descrivere un simile
avvenimento; non c’erano parole per spiegare a due bambini
cosa fosse successo, perché nemmeno i grandi lo sapevano,
nemmeno i grandi riuscivano a comprendere. Nemmeno i
grandi riuscivano a capire anime perse, nemmeno loro
riuscivano a capirli.
Non riuscivano a muoversi, i due fanciulli; non riuscivano a
correre, non riuscivano più a pensare alla loro casa fredda e
vuota. Il mondo si era fermato, mentre i sogni gli ruotavano
attorno. Iniziarono a muoversi solo quando, dopo quaranta
minuti di agonia e dolore, dopo quaranta minuti trascorsi ad
osservare il degrado di una società, Gabriele scorse in un
angolo una fanciulla.
La piccola Faiza era posata su un gradino, sola, in silenzio. A
piedi scalzi, riusciva a percepire solo una Terra fredda priva di
quel calore che ruotava attorno al falò ogni sera. Si alzò
improvvisamente, convinta di poter correre e ritornare nel
paese in cui era cresciuta. Ma si accorse di non poterlo fare, si
accorse di essere rinchiusa in una bolla di vetro da cui era
impossibile uscire. Voleva romperlo, quel vetro. Romperlo e
gridare al mondo intero: <<Io ci sono!>>
ma non aveva la forza. Non aveva la luce per farlo, quella luce
spenta, quella luce in cerca di buio. Era solo una bambina,
Faiza, e il suo cuore era già così grande. Non aveva nulla, ed
era infelice. Solo confusione vedeva davanti a sé; il mondo le
ruotava attorno e lei non ne faceva parte. Con gli occhi cercava
la sua famiglia, ma la sua famiglia era divenuta luce, e lei non
lo sapeva. Non sapeva che l’umanità le aveva completamente
spezzato i sogni di una vita felice, di una vita in cui avrebbe
potuto prima di tutto essere persona. Era solo una bambina,
Faiza, ma i suoi pensieri erano già così grandi, i suoi sogni
erano già così grandi. Era solo una bambina, e nessuno l’aveva
capito, nessuno l’aveva capita.
Accadde questo il 3 ottobre 2013. E accadde nell’esatto
momento in cui umanità ignorarono anime, ignorarono persone,
in cui sogni divennero luce e vite buio. Non ci sono parole per
spiegare cosa realmente è accaduto: ogni parola diverrebbe
crudele verso quelle umanità ciniche che pensano anziché
amare. Faiza e altri migliaia di bambini restarono soli in una
strada oscura, alla ricerca di una famiglia che non avrebbero
mai trovato, e altre migliaia di persone non riuscirono a vederla
quella strada buia perché loro stesse divennero buio.
Ci hanno mostrato immagini di barche rivoltate, di persone
cadute in mare.
Ci hanno mostrato immagini di quei giorni in cui tutto il mondo è
stato unito da sentimenti di solidarietà.
Ci hanno mostrato immagini di fiori da donare a quei corpi che
ora sono anime ma..
Non ci hanno mostrato la luce contenente negli occhi di chi
credeva davvero che una vita migliore potesse accadere, la
luce contenente nelle anime di chi sognava;
non ci hanno mostrato che, prima di partire, hanno dovuto
abbandonare tutte quelle sere trascorse attorno a un falò a
danzare come stelle, convinti di potersi salvare da una Terra
colma di fango e sacrifici.
No… non ci hanno mostrato che vivere nell’orrore significa solo
sopravvivere, e che quel mare cullava i loro pensieri donando
davvero quella parte di serenità che da sempre avevano atteso.
Invece… invece quel mare è divenuto inferno anziché casa. E
questo non ce l’hanno mostrato perché … se solo l’avessero
fatto, il mondo sarebbe diventato un unico luogo, e non un
insieme di luoghi; il mondo sarebbe diventato calore, sarebbe
diventato mare in cui rifugiarsi quando le anime temono,
quando le anime tremano. E Faiza avrebbe ancora una
famiglia, e avrebbe potuto danzare, spensierata, felice. Questo
non ce l’hanno mostrato, e oggi il mondo resta ancora inferno,
orrore, vergogna. Così.. dinnanzi a tutta quella vergogna non
riuscivano a muoversi, Dafne e Gabriele; non riuscivano a
correre, non riuscivano più a pensare alla loro casa fredda e
vuota. Il mondo si era fermato, mentre i sogni gli ruotavano
attorno. Iniziarono a muoversi solo quando, dopo quaranta
minuti di agonia e dolore, dopo quaranta minuti trascorsi ad
osservare il degrado di una società, Gabriele scorse in un
angolo una fanciulla.
E quel momento fu il cambiamento per una persona, per una
piccola parte di umanità.
Quando Patrizio vide Faiza per la prima volta, era il 3 ottobre
2013.
Attese un anno prima che quella fanciulla dallo sguardo perso e
sognante sarebbe diventata sua figlia.
Ogni anno, nel mese di ottobre, Patrizio e la sua famiglia
ritornano nella città di Lampedusa come volontari.
Ogni anima che arriva è una salvezza per la loro, di anima.
E’ una salvezza per l’intera umanità nonostante.. ancora oggi..
nessuno lo ha ancora capito.
Ma c’è chi crede…
e questo basta per essere migliori.