PERLA BIANCA

Era il silenzio.
Era l’oscurità remota dei misteri abissali
dove nulla riecheggia dagli spazi di luce,
dalle onde inquiete che spezzano gli scogli.
Rudi frammenti d’essere, nullità infinite,
spoglie rimaste illese nei travagli cocenti
abitavano, inerti, le foreste marine,
quei prati cristallini
orfani di farfalle e di vaghi profumi,
orfani di raggi, di lusinghe iridate.
E lei, conchiglia eterna e senza nome,
giaceva sul fondale,
inesplicabilmente chiusa nel mistero,
accarezzata e levigata
dal perpetuo silenzio e dalla calma,
quasi roccia solenne
abbracciata e conchiusa dall’immensità:
immensità di acque rilucenti,
immensità di sete conosciute
solo dal grande Artista
che ne aveva screziato l’esistenza,
immensità di pace.
E lei, conchiglia, semplicemente, era!
Chiuse le valve ad ogni moto ondoso,
chiusa alle rare voci
che, a tratti, tornavano al suo tempio,
al sacrario di grazia invisitato,
chiusa a ogni altra comunione
che non fosse l’attesa,
era sogno, speranza, libertà.
Quante volte tornarono,
irrequiete greggi degli abissi,
voci confuse ed invitanti
a sconvolgerle il cuore…
“Perché non spezzi il tuo silenzio?
Perché non schiudi le tue valve
e te ne vai, tu pure,
passeggera fra mille profezie,
ad esplorare questi spenti abissi?
La tua verginità d’amore
ha bisogno di altre conoscenze…
non puoi restare lì
ad attendere invano che la meraviglia
ti venga a visitare,
a portarti la luce che sospiri…
E intanto giaci, muta,
tormentata dal buio e dal silenzio,
abbandonata, certo abbandonata
da chi pensi da sempre,
da chi credevi essere amata
perdutamente e illimitatamente…”.
E lei, conchiglia,
semplicemente continuava ad essere.
Non le importava nulla!
Non il silenzio, il buio, non l’abbandono
e il solitario abbraccio,
nemmeno la sua lunga inconoscenza,
la tormentata attesa dell’amore…
Aveva il sogno di una perla bianca
già pronta a scaturire dalle sue sembianze…
ma la perla, dicevano, è dolore…
“Non lasciarti ferire,
non lasciarti raggiungere da invisibili stille,
ne soffrirai, ti sentirai morire…”.
“Ma che importa il mio pianto,
quando mi inonderà la vita,
se dal mio pianto nascerà la perla?”.
E giunse un giorno un granellino,
colto dal vento vagabondo
nel pulviscolo d’oro della storia,
una storia diversa udita fra le sabbie ardenti
e poi narrata dai gabbiani al mare.
Pensava all’estasi sognata,
egli, minuscolo granello,
quando il vento lo vide e lo rapì.
Veleggiava su un raggio e contemplava:
la sconfinata azzurrità,
il canto ombroso delle onde,
il perpetuo ritorno dalla spiaggia,
erano finalmente suoi.
Era dolore il furibondo abbraccio
del soffio che lo aveva colto,
ma così soltanto poteva contemplare…
Ed il vento, invisibile, continuava a correre
verso l’orizzonte,
verso una meta senza fine…
Poter restare, illimitatamente,
su quel raggio ospitale,
poter sempre abitare quella luce!
Ma l’acqua, ancora più vicina,
diveniva frastuono e confusione,
diveniva tenebra,
e il piccolo granello, spaventato,
cominciò a tremare…
“Dove mi porti, vento gagliardo e forte,
vento ammaliatore, dove vado?
Non vedo più nulla attorno a me!”.
“Tu devi andare là dove una conchiglia
da lungo tempo vive in attesa
della sua perla bianca…”.
“Ma cosa posso, io, minuscolo granello,
particella d’essere, andando alla conchiglia?…
Nemmeno lo saprà!
Lei non si accorgerà di me!
Che le dirò? E quando avrà paura?”.
Il vento era fuggito
e non udiva più la sua canzone;
tutto era buio, attorno, era silenzio.
Il raggio d’oro che lo aveva amato
non colorava più della sua luce
il buio delle acque.
Egli scendeva, scendeva inesorabilmente,
prigioniero di voci sconosciute
che ammaliavano
e a un tempo tormentavano…
“Vieni da noi!
Lasciala perdere quella tua conchiglia!
Da tempo indefinito attende,
non lo sa nemmeno che tu stai giungendo…
Abbraccia pure noi,
minuscola essenza che feconda amore!”.
“Non è questo il mio posto!
Non mille voci contrastanti
io posso ascoltare,
ma una sola voce:
la voce del silenzio e dell’attesa.
E lei attende, da sempre,
silenziosamente, attende…
sa e non sa, ed io neppure so…
ma la muta preghiera del suo cuore
compirà il prodigio:
siamo nati per questo,
per la sua perla bianca!
E voi, che popolate questi abissi,
ancora non sapete il mistero,
non avete ospitato in voi
il segreto sperare?
Non vi abita il sogno
che dall’eternità discende
ed è sorgente di bellezza?
Forse ritornerò da voi per dirvi: è l’ora!
Ridestate voi pure il primitivo sogno
che come seme abita ogni vita,
partecipate tutti al banchetto nuziale!
Ogni creatura nasce
per l’istante supremo dell’amore
e dall’amore sgorga un altro amore,
perpetuamente celebrando luce.
Ma ora devo andare,
lei attende, da sempre,
ardentemente il mio dolore attende:
il suo dolore unito al mio dolore
sarà la perla bianca…”.
E il granellino scese,
accarezzò la seta delle valve,
dolcemente baciò la sua conchiglia
che con amore immenso
lasciò che penetrasse nel suo cuore.
Una lacrima scese a confortare
e un palpito parlò:
“Chi sei, tu, invisibile tocco che ferisci?
Io non ti vedo!
Odo la tua presenza nel silenzio,
sento il tuo sguardo lacerante
ed il tuo fuoco ardente,
l’essenza tua è ormai la mia essenza,
e viene meno in me la forza…”.
“Io sono un granellino,
sono soltanto un granellino
minuscolo, fragile e solo,
colto dal vento vagabondo
quando, danzando sulla sabbia,
mi aveva dato estasi di sogno
portandomi lontano.
Nemmeno lo sapevo!
Chiamato dalla brezza,
trasportato da un raggio,
sono disceso in questo abisso
per incontrare te…
Io sono il tuo dolore,
ospitami nel tuo tempio,
attorno a questo pianto rilucerà la perla…”.
“Che devo fare, granellino? Io non ti vedo!
Solo ho un dolore immenso…”.
“Lascialo il tuo dolore,
lascia fiorire il secolare pianto della storia,
lascialo vivo in libertà, sta nascendo la perla…”.
Tacque il granello, tacque la conchiglia,
celebrazione pura dell’amore
nella notturna volta degli abissi.
Era un silenzio mormorante,
era un’attesa vigile, come una preghiera…
Quanto tempo trascorse?
E quale eternità si riversò, sublime,
nel cuore visitato dal dolore?
Nell’infinito spazio vergine,
nel vuoto sacro mai violato
da nessuna impronta,
si generò la perla
e una presenza d’alba
illuminò fondali tenebrosi,
regalò candore a quegli abissi
chiusi e smarriti.
Il granellino ormai non era più!
Perduto nella perla
era ormai la perla,
perché il dolore si era fatto perla
nella conchiglia-tempio,
nel recinto sacro
fecondo di bellezza;
e la bellezza si era fatta luce
e la luce sentiero
fra le oscure rocce
d’imperlustrati abissi
dove regna il silenzio
in fondo al mare.


 

Profughi

La nostra terra
ora si è fatta amara…
il suo seno caldo
ci ha partoriti implumi
fra cristalli di ghiaccio
e punte di agonia.
Ci hanno strappato tutto!
Ci hanno piagato il cuore
svellendo le radici
della nostra storia.
Ora dobbiamo andare!
Non abbiamo più sale
per le nostre lacrime;
non indossiamo scarpe
a sbriciolare zolle
troppo intrise di sangue…
Il vento ci sospinge,
furibondo e amaro
verso lidi lontani.
Cancellano il passato,
ed il futuro è ancora prigioniero
di recinti spinati
che lacerano speranze;
e noi andiamo, andiamo, andiamo…
senza sapere dove…
Il buio e la paura dietro noi
il nulla e l’incertezza all’orizzonte
indecifrato assenso
ad un destino ignoto.