Nessuno sa, nessuno mi vede

Vagli a spiegare che è primavera

quaggiú dove si discende

solo a volte, quando il cuore si distende al riposo

o quando scatta incontrollata una felicità intravista

fra le pieghe di quel che conoscemmo già

e dimenticammo. Eppure forse quel tuo sospiro

l’intende (difficile nel meriggio, fortunoso) e ne svela

una parte, che non si scialacqui:

ne è il punto mediano, come il cuore,

la stagione della speranza che purifica

passando di nube in nube, accortamente –

lieta vaghezza, troppo sbiadito amaro.

 

Ma quando l’accortezza mai fu insieme vaga e pregna

a lei non dirlo, ché non servirebbe:

si plana sull’aria ferma stanotte, lasciati in posa

precipitevolmente per un ritratto,

e il mutar delle forme non si sente.

La pelle si desquama e ne esce la livrea della crisalide –

la farfalla dello spirito è preziosa, non ci s’addice –

ma l’amore, ch’è parola forte, vi rimane

e flosciamente chi l’insuffla vi mette fiato sporco,

senza cautela un profumo che svanirà piú tardi.

Quella scorza s’adagia si rialza s’alluma si crema

ben piú in là (sotto, in realtà) d’un bacio o d’una mela

ben piú giú di una notte

che consumeremo separatamente.