L’ULTIMO GIUGNO
di Virginia Guidi

Ormai da tredici anni il mese di giugno significava la chiusura di un ciclo. Ma questa volta era diverso, la chiusura era veramente decisiva. Una sua amica la prendeva sempre in giro : “Non si è mai tristi a giugno!” Ma come si faceva a non esserlo?
A giungo finiva sempre qualcosa, moriva qualcosa di te ogni volta perché la parentesi estiva ti cambiava sempre. Era una sorta di capodanno non convenzionale, finivi qualcosa pronta per diventare qualcun’altra, pronta per trasformarti e presentarti rinnovata a settembre di fronte agli occhi dell’unica società che conoscevi. Chiudevi qualcosa e soprattutto facevi i conti con quello che eri riuscita a fare di quell’anno, della tua vita: se eri andata bene a scuola, se avevi dato il primo bacio, se avevi perso la verginità, se eri andata a molte feste, se avevi vinto il determinato premio, se ti avevano accettato nella squadra x, se avevi dato il meglio di te nel laboratorio di teatro, se eri riuscita a metterti con il ragazzo che ti piaceva… e tutte quelle cose che fanno parte dell’unica vita che conosci.
Appena la stagione estiva era alle porte, lei faceva i conti con tutto questo, con il tempo che trascorreva inesorabile, con tutte le cose che non era riuscita a fare e diventava più cupa, più solitaria e sta volta lo era ancora di più.
Questo giungo non era una fine qualunque.
Il corridoio del suo liceo era vuoto, il bidello era lontano. Nell’aula a fianco stavano esaminando il penultimo allievo di quell’anno scolastico. Lei era l’ultima allieva di quell’ultimo giorno di giugno, di quell’ultimo anno della sua vita da adolescente che si stava concludendo.
Mio Dio, cosa avrebbe fatto?
Il problema non era l’esame, aveva studiato quanto poteva, con i vari rimpianti dell’ultimo minuto, sapendo che avrebbe potuto fare di più, come sempre. Il problema non erano gli amici che avrebbe quasi sicuramente perso, perché ormai erano settimane che li evitava perché non era dell’umore adatto per stare in compagnia.
Il problema era il mondo gigantesco al di fuori, il mondo senza alcun confine che le si presentava davanti agli occhi.
Per la prima volta nella sua vita non aveva limiti di scelta, scadenze predefinite.
Era cominciato tutto quando aveva compiuto diciotto anni qualche mese prima, un ragazzo aspetta la maggior età per una vita perché in quel giorno la vita cambia. Si può guidare, votare, si è liberi di fare ciò che si vuole… nessun limite è più posto di fronte all’esistenza, quale altro passaggio così marcato esiste? Ed ora quel limite si stava per varcare definitivamente, era adulta.
Cosa avrebbe fatto? Chi sarebbe diventata?
Aveva sempre avuto un’idea così chiara di come voleva diventare quando era bambina, voleva essere come la ragazzina che faceva la pubblicità delle merendine: capelli biondo cenere lisci e lunghi fino alla vita, una camicia a scacchi rossa sopra un body bianco a collo alto, jeans e scarpe da ginnastica. Lei era mora con i capelli mossi e le camicie a scacchi non andavano più di moda.
Pensi di avere tutta una vita davanti per poter essere quello che vorresti essere, poi arriva il momento della scelta e sei bloccata.
Da quanto era entrato in aula Marco? Oddio, poteva toccare a lei da un momento all’altro!
Ma che importava… Il problema non era sicuramente quello dell’esame, ormai quello che sapeva sapeva… La mente non riusciva a focalizzarsi su null’altro che sul vuoto di fronte a lei, ecco il punto.
Da ragazzina si era sempre immaginata adulta e realizzata. Ok, ma da cosa? Come? Immaginarsi la meta senza immaginarsi il cammino, ecco cosa aveva fatto per tutta la sua vita! Tutte le scadenze che per tredici anni le si erano poste di fronte erano gradini burocratici di compleanni, vaccini, esami, compiti che davano l’illusione della crescita perché marcavano il tempo che passava, sì ma poi?
Ok, burocraticamente il tempo era passato, tutti i gradini erano stati superati con più o meno successo, con maggior o minor soddisfazione, ma la crescita esteriore, sociale, non aveva corrisposto a una crescita interiore.
Cosa avrebbe fatto?
Da ragazzina pensava che a diciotto anni avrebbe guidato una macchina bellissima e che sarebbe andata a vivere da sola. Sì, ma come? Doveva trovare un lavoro per fare tutte queste cose, avrebbe dovuto decidere chi essere, chi diventare, e non era mica così facile…
L’orologio nel corridoio improvvisamente ruppe i suoi pensieri. Non si era mai accorta di quell’orologio, come era possibile? Il suo ticchettio era snervante.
Il tempo trascorreva, l’ultimo tempo di quell’ultimo giorno di giugno, il suo ultimo giorno da adolescente.
Agli occhi di tutti poi sarebbe dovuta essere “matura”, anzi “maturata”. Va bene, ma rispetto a cosa?
Cosa aveva imparato in questi anni?
Aveva imparato a leggere, scrivere e far di conto; a dipingere fiori sulle pareti e lavorare il DAS; aveva studiato storia e geografia e poi si erano aggiunte materie su materie… Ma della vita? Cosa aveva imparato della vita?
Aveva imparato che non si doveva mangiare una caramella al mentolo prima di fumare, un suo amico si era sentito malissimo facendolo, aveva ancora in mente il suo volto giallo sulle scale antincendio… Non le veniva in mente nient’altro.
Cosa sapeva della vita?
– Lorenza, tocca a te, vieni.-
La voce della sua prof. di Matematica la riscosse. Cazzo, non se l’aspettava.

Forse erano passati cinque minuti o forse cinquanta, questo era stato il tempo che aveva segnato il suo passaggio dall’adolescenza all’età adulta. Non era molto e in realtà non era cambiato un granché.
Lorenza uscì per un’ultima volta dal grande portone di legno del suo liceo, un portone che aveva visto alcune delle cose più importanti della sua vita.
C’erano alcuni ragazzi che stavano festeggiando la fine della scuola ma, per fortuna, lei non li conosceva. Era sola. Respirò un attimo con quel portone alle spalle, si voltò appena e lo scorse con la coda dell’occhio, era già Passato ormai. Si incamminò piano verso casa sorridendo leggermente, quello che prima la spaventava terribilmente si era dissolto, ora per la prima volta dopo tredici anni se avesse trovato la forza, sarebbe potuta essere quello che voleva.
Camminava piano Lorenza in quel caldo, ultimo giorno di giugno guardando il cielo tingersi del primo tramonto della sua nuova vita.